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Oliena, Gavoi e Galtellì, i borghi tra i monti della Barbagia

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Un viaggio in Sardegna, attraverso tre borghi in provincia di Nuoro, noti per le ricchezze storiche, paesaggistiche, archittetoniche e culinarie: dalle preziose testimonianze archeologiche alla natura incontaminata, fino alle delizie dell’enogastronomia locale

SCHEDA ITINERARIO

Ricchi di tradizioni e custodi di una preziosa eredità storica e ambientale, Oliena, Galtellì e Gavoi, in Sardegna, partecipano al programma "I borghi di eccellenza - identità, cultura e tradizioni", un'iniziativa volta a valorizzare le risorse del territorio, dalla riqualificazione dei centri storici alla fruibilità delle strutture pubbliche e private. Il progetto coinvolge altri cinque borghi sardi (Aggius, Laconi, Sardara, Castelsardo, Borgo di Sant'Elia) ma anche Liguria e Molise.

Oliena: l'eredità dei Gesuiti

"Il villaggio bianco sotto i monti azzurri e chiari come fatti di marmo e d'aria, ardeva come una cava di calce: ma ogni tanto una marea di vento lo rinfrescava e i noci e i peschi negli orti mormoravano tra il fruscio dell'acqua e degli uccelli". Così Grazia Deledda descrive nel celebre romanzo Canne al Vento il borgo di Oliena, in provincia di Nuoro. La cittadina siede ai piedi del monte Corrasi e secondo lo storico Sallustio proprio qui approdarono gli Iliensis, gruppi di Troiani in fuga dalla patria in fiamme, quindi da Ilio deriverebbe l'attuale denominazione Oliena. Due sono i capitoli che hanno segnato nel profondo la storia del borgo. Per cominciare il dominio dei Pisani a partire dal 1300: questi incrementarono il commercio esportando bestiame e prodotti caseari e importando spezie e stoffe provenienti dall'Oriente; a loro si deve la bella chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore. L'altra pagina di storia e legata ai Gesuiti, che si stabilirono nel territorio nel 1665. Questi edificarono il convento che ospitò una delle scuole più importanti del territorio, e la chiesa parrocchiale dedicata a sant'Ignazio di Loyola, costruita con le pietre del castello medievale già all'epoca in rovina. Con la soppressione dell'ordine, i Gesuiti abbandonarono Oliena, ma la loro eredità sopravvive ancora oggi: i frantoi installati nel complesso del collegio, i vigneti impiantati, l'allevamento dei bachi da seta e l'impegno nelle opere di ristrutturazione rilanciarono l'economia del territorio.
Passeggiando per il paese sembra di tornare indietro nel tempo: le strade di acciottolato e le case addossate le une alle altre conservano la struttura originaria, si sviluppano attorno a un cortile munito di pozzo e spesso ospitano cassepanche intagliate per la conservazione del pane carasau. Ci sono ben undici chiese oltre a quella parrocchiale e all'edificio realizzato dai Gesuiti; merita visita quella di Santa Croce, la più antica, sovrastata da un campanile a vela.

Il vino che stregò D'Annunzio

"Non conoscete il nepente d'Oliena neppure per fama? Ahi lasso! lo sono certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall'ombra delle candide rupi...". Inequivocabili le parole vergate da D'Annunzio in una lettera del 1909: lo scrittore si riferisce al Nepente, squisito vino prodotto dall'uva cannonau la cui coltivazione fu introdotta proprio dai Gesuiti. Oltre ai vigneti, il paesaggio di Oliena si caratterizza per la presenza di sorgenti, la più nota è "Su Gologone", di origine carsica, mentre poco fuori dal paese è possibile ammirare gli straordinari paesaggi del Supramonte. A rocce aride che disegnano scorci lunari si alternano boschi di agrifoglio, tasso, querce secolari e ginepri, e la ricca fauna di cinghiali, gatti selvatici, ghiri, martore, donnole, lepri e aquile incanta tanto quanto le testimonianze di civiltà preistoriche, menhir e nuraghi, che costellano la zona. Per chi visita Oliena in estate, da non perdere la festa patronale di San Lussurio, a metà agosto, per cogliere a pieno lo spirito e le tradizioni del territorio. Per l'occasione si tengono spettacoli di canto a tenore (un canto polifonico composto dall'unione di quattro voci) e di ballo, viene preparato il tradizionale torrone, bianchissimo, a base di mandorle e miele, e molte donne indossano il costume e i gioielli tradizionali, veri capolavori di oreficeria e tessitura.

Mandorle, miele e pane carasau

Oliena è celebre per i suoi dolci a base di mandorle e miele presenti sulle tavole tutto l'anno. Iniziamo con "sos amarettos", soffici biscotti di mandorle dolci da gustare col vino bianco; ci sono poi "sos meliheddas", dalla caratteristica forma a frutto, spolverati con zucchero a velo; "su idongiadu" un grosso candito preparato con mela cotogna e zucchero, e "s'aranciada": filetti di buccia d'arancia canditi, cotti con miele e mandorle. Altra tipicità è il pane carasau, gustoso e croccante, tipico della Barbagia, la regione montuosa della Sardegna centrale. Deriva il nome dal verbo dialettale cariare che allude a una fase della lavorazione dell'impasto; si conserva a lungo e in passato se ne preparavano due tipi, quello con il grano duro, più pregiato, e quello a base di farina d'orzo per i meno abbienti. E' molto versatile, ma data l'elevata capacità di assorbire liquidi, vale la pena gustarlo come accompagnamento a pietanze succose.

Gavoi: turismo per tutti i gusti

Nel I secolo d.C. i Romani crearono numerose colonie in Sardegna, popolate da Ebrei deportati dall'attuale Medio Oriente. Questa probabilmente è l'origine di Gavoi, il cui territorio, come testimoniano menhir, antiche sepolture e nuraghi, era abitato sin dall'epoca preistorica. Situato al centro della Barbagia, tra monti e vallate, incorniciato dai boschi del Gennargentu con la loro incredibile fauna, la cittadina offre tanti spunti a chi sceglie di visitarla. La chiesa di San Gavino, tardogotica, al centro del paese, ospita un bel pulpito in legno seicentesco e un fonte battesimale del 1706, mentre quella di Sant'Antioco, nella parte alta di Gavoi, conserva una statua settecentesca del santo e numerosi ex voto in filigrana d'oro e d'argento. I boschi del Gennargentu sono lo scenario ideale per escursioni mentre il lago di Gusana, bacino artificiale circondato da castagni, lecci, agrifogli, noci e ciliegi, e perfetto per praticare canoa, windsurf e pesca.
Per gli amanti della letteratura, ogni anno, all'inizio di luglio, si tiene un importante festival letterario, L'Isola delle storie, presieduto dallo scrittore Marcello Fois, con la partecipazione di nomi illustri del panorama culturale italiano.

Pecorino Fiore Sardo

Tipico del territorio è il Fiore Sardo, formaggio pecorino dalle origini antiche, riconosciuto a DOP nel 1996. Viene prodotto con metodi artigianali: il latte di pecora intero viene fatto cagliare assieme al caglio di capretto o di agnello, la cagliata viene rotta fino a ottenere grani grandi come un chicco di riso e dopo essere stata spurgata viene trasferita negli stampi. Le forme restano in salamoia per due giorni, poi vengono salate a secco, asciugate davanti al fuoco e infine lasciate maturare in appositi locali dai 2 agli 8 mesi e strofinate con sale o grasso di pecora. Il Fiore Sardo ha un sapore più o meno piccante a seconda della maturazione, è ottimo da solo, ma si sposa bene anche con miele, marmellate o frutta.

Galtellì: il borgo dei castelli

Deriva il nome dal latino castellum in riferimento alle numerose fortificazioni edificate a partire dal XII secolo a scopo di controllo e difesa, una di esse è ancora oggi visibile in contrada Pontes. Galtellì sorge nella valle del Cedrino, alle pendici del monte Tuttavista. Incanta con tesori naturalistici unici e maestose testimonianze storiche, basti pensare a Sa Pedra Istampada o Roccia Forata, un arco alto trenta metri scolpito dal vento, e alle tombe dei giganti, monumenti funerari di epoca nuragica. Nel Medioevo era sede della Diocesi, quindi uno dei centri più importanti della regione; a questo periodo risale la Cattedrale di San Pietro che conserva affreschi del XII secolo raffiguranti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento.

Vale la pena passeggiare per le vie del centro storico, caratterizzate da eleganti palazzi in calce bianca, e ancora visitare la bella chiesa anticamente nota come Santa Maria delle Torri, in seguito denominata del Santissimo Crocifisso in virtù della miracolosa sudorazione del Crocifisso in essa conservato, avvenuta nel 1612. Per respirare in pieno le radici di Galtellì basta visitare il Museo Etnografico: ricavato da un'antica casa padronale, raccoglie testimonianze del mondo pastorale e artigiano, da aratri a antichi forconi in legno, fino a un antico forno a legna e utensili per la preparazione del pane. La stanza da letto conserva i preziosi costumi tradizionali realizzati in orbace, broccato con fili d'oro, velluto e seta ricamata.

 

 

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