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Gelato gastronomico: la nuova frontiera del gusto

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Sapienza artigianale, materie prime eccellenti, ma soprattutto sperimentazione ludica e irriverente: sono questi i dettami di uno dei più golosi e divertenti food trend del momento

Al pomodoro, al basilico, allo zafferano, e ancora al radicchio, alla birra e all’olio extravergine di oliva. Il gelato gastronomico, meglio noto come gelato salato, è un universo in continua espansione. Tanti sono i locali che, da nord a sud dello Stivale, hanno affiancato ai tradizionali gusti alla crema e alla frutta questa golosa alternativa. Si tratta naturalmente di quelle gelaterie che, attente alla continua evoluzione dei consumi, cercano di stare al passo con i tempi e monitorare tutte le tendenze del momento in termini di ricerca e innovazione.

Se dal gelataio è possibile, però, assaggiare, in cono o coppetta, il gelato salato puro, più difficile è sperimentarne l’abbinamento gastronomico. Per farlo è necessario andare nei ristoranti, stellati e non, che credendo ancora nella dimensione artigianale del gelato, producono il gelato gastronomico per mantecazione e lo propongono in accompagnamento alla portata principale. Produrre un gelato salato a regola d’arte, infatti, è tutt’altro che semplice, fondamentale è calibrare la quantità di sale e zucchero e non snaturare il sapore dell’ingrediente originario. Il tutto con un particolare occhio di riguardo alla struttura, indispensabile per garantire la spatolabilità del gelato anche a -18°C, la temperatura a cui di norma i ristoratori conservano il gelato. In aiuto degli chef vengono le basi bilanciate, i semilavorati e le recenti macchine mantecatrici compatte che, tenendo conto della produzione limitata di gelato di un ristorante, consentono di fare pochi chili di gelato per volta.

Dolce o salato che sia le parole d’ordine ad ogni modo sembrano essere ritorno alle origini e alla genuinità: alla base del gelato tradizionale, come di quello gastronomico, è necessaria una materia prima naturale ed eccellente. In tal senso punto d’incontro tra chef e gelatieri  non può che essere la valorizzazione dei prodotti tipici nostrani: il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto Crudo di Parma, simboli del made in Italy in tutto il mondo, ad esempio, sono gli ingredienti ideali di un gelato gastronomico, indubbiamente fantasioso, ma soprattutto di alta qualità. Ma dove nasce l’idea di rendere gelato tutto ciò che, di fatto, è commestibile?
La trovata fu di Enzo Vannozzi, celebre maestro gelatiere di Viareggio, che nel 1973 ebbe l’ardire di proporre un gelato davvero rivoluzionario, un gelato di zucchine, premiato peraltro da un prestigioso Oscar della Gelateria. Vannozzi non fu il solo, però, ad andare contro corrente e farsi pionere di nuovi gusti e abbinamenti, a seguire il suo esempio ci fu anche la padovana Gelateria da Bepi, nota per la sua decennale esperienza nella creazione di gelati “non convenzionali” come quello alla zola e alla patata americana.

L’invenzione di gelati gastronomici risale quindi agli anni ’70, con l’unica differenza che se in origine quest’ultimi erano relegati all’ambito della gelateria, ora invece il gelato gastronomico, varcando il confine salato-dolce, è entrato prepontemente nella realtà ristorativa. In conseguenza, si è aperto un vivace e dinamico dialogo tra pasticceria e cucina circa il nuovo posizionamento del gelato. Discussione, a dire la verità, dettata non solo dalla volontà di cambiamento e dall’evoluzione dei gusti ma anche dall’esigenza della grande industria del settore di destagionalizzare i consumi, per vendere il gelato 365 giorni l’anno.

Se sarà solo una moda passeggera o una rivoluzione radicale non è facile prevederlo, al momento l’imperativo è certamente quello di osare e stupire. Qualche esempio di interpretazione audace e coraggiosa? Il gelato al coniglio dello chef Ernesto Iaccarino, il sorbetto di zenzero, wasabi e ricci di mare di Antonio Guida o ancora il gelato alle ostriche dello chef Alfredo Russo. Cosa partoriranno prossimamente le menti degli chef e gelatieri più intraprendenti è tutto da scoprire, per avvicinarsi a questo universo è necessario, però, liberarsi da ogni tabù e preconcetto. Per osare in cucina, d’altronde, serve anche un po’ di sana follia.

di Alessandra Cioccarelli

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