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Sake, una finestra sul Giappone

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Il sake, il vino di riso giapponese, è perfetto con la cucina internazionale, è facile da abbinare e da spiegare ai clienti. Insomma, per i ristoratori italiani potrebbe essere una valida proposta. In America e in Inghilterra è già un cult. I consigli per apprezzarlo e proporlo nella maniera corretta

Il sake, il vino di riso, è una finestra sul Giappone ancora piccola dato che le esportazioni della bevanda costituiscono solo il 2 per cento della produzione totale. L’interesse per il prodotto giapponese è però in crescita. Se in Italia bere sake è ancora una rarità, il fenomeno è già molto diffuso in Inghilterra e negli Stati Uniti dove è normalissimo trovarne diversi tipi (più o meno fortificati, cremosi, con o senza bollicine), nelle carte dei vini dei migliori ristoranti.
 
Lo scorso 7 luglio, il Comitato organizzativo Salone del Giappone, in occasione della presenza del Paese a Expo 2015, ha organizzato un simposio proprio per far conoscere le virtù e la versatilità della bevanda che viene dall’Oriente. «Il sake è amico della cucina internazionale e sposa perfettamente l’aragosta e le ostriche, il carpaccio e la bottarga, la coscia di agnello, il risotto ai porcini e i formaggi, soprattutto cremosi e di capra, ma anche il gorgonzola», ha detto Markus del Monego, master of wine e direttore di Tastetainment, importante società tedesca di consulenza vinicola. «Un menu intero potrebbe alternare senza alcuna difficoltà sake e vino». Giusta osservazione. Sake e vino sono complementari e non concorrenziali, come ha precisato Sam Harrop, presidente del IWC e master of wine, continuando: «Il sake non conosce il terroir sul quale invece si fonda il vino. I produttori di sake comprano il riso e danno importanza all’acqua. Inoltre la degustazione del sake va a toccare sfere sensoriali differenti ed è molto più semplice da comprendere».
 
Entro il 2020 il governo giapponese vorrebbe quintuplicare l’export di sake nel mondo. Come fare? Insegnando agli europei ad apprezzarlo. Marco Massarotto, fondatore de La Via del Sake, un’associazione culturale che si occupa della promozione della cultura giapponese ha sfatato qualche luogo comune: «Va servito fresco, a circa 10 °C per sentire l’esplosione di fiori che regala alla bocca, è un prodotto totalmente senza conservanti perché tecnicamente non possono essere aggiunti, non è un superacolico, ma anzi, solitamente ha gradazioni molto basse, non si beve solo a fine pasto, ma a tutto pasto e si degusta in piccoli bicchieri per stimolare, versandolo, la convivialità. Insomma, per i ristoratori italiani il sake potrebbe rappresentare una buona soluzione: facile da abbinare, da spiegare e molto scenografico da servire. Da provare!
 
di Elena Caccia

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