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Tavole imbandite e presepi di cartapesta: il festoso Natale pugliese

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Esiste nella memoria di ogni pugliese un calendario della cucina, su cui vengono idealmente segnati piatti tipici a seconda della ricorrenza. Pensando al Natale vengono subito in mente “li carteddate”, i golosi dolci fritti ricoperti di miele e confetti, le “sannacchiutele”, una variante tarantina degli struffoli campani e tante altre deliziose specialità...

Esiste nella memoria di ogni pugliese un calendario della cucina,  su cui vengono idealmente segnati piatti tipici a seconda della ricorrenza. Così, pensando al Natale vengono immediatamente in mente "lufucazieddu", focaccia ripiene con le cipolle rosse, “li carteddate”, i golosi dolci fritti ricoperti di miele e confetti colorati e le “sannacchiutele”, una variante degli struffoli campani, specialità  di Taranto.

Il Natale, d'altronde, è il periodo dell’anno in cui si concentrano le maggiori festività: è quindi in questi giorni che in Puglia la gente si prepara a vivere in pieno le tradizioni che gli sono state tramandate e fra queste occupano un posto di rilievo quelle culinarie. Già la sera dell’antivigilia, la notte fra il 23 ed il 24 dicembre, i pugliesi iniziano a preparare la festa, invadendo i mercatini rionali, che rimangono aperti tutta la notte. Le bancarelle addobbate, illuminate da luci improvvisate, fanno bella mostra di sé, offrendo allo sguardo degli acquirenti forme di formaggi e di ricotta marzotica, accatastate una sull’altra in equilibrio instabile, mozzarelle lattiginose, salumi appesi a mo’ di collane, finocchi, cipolle, montagne di carciofi, ananas, arance, melanzane, cavolfiori, capitoni ancora vivi e tutti i tipi di frutti di mare, che costituiscono la base del “crudo”, consumato in larga quantità e quant’altro possa stuzzicare la golosità del compratore.

I pugliesi amano in modo particolare cuocere il polipo nell’acqua sua stessa (“U pulpe se cosce che l’acqua sua stessa”: è una frase che è passata nel linguaggio abituale ad indicare una persona un po’ testarda che deve convincersi da sola a fare qualcosa). Per renderlo più tenero, i pescatori usavano mettere nella pentola un tappo di sughero forato e molto secco, ricavato dalle reti della pesca. Durante la cottura questo tappo ammorbidiva il polipo, non si  bene in base a quale alchimia, e rilasciava tutta la salsedine di cui era impregnato, insaporendo la preparazione. Tra una bancherella e l'altra non manca occasione per addentare, poi, enormi tranci di focaccia che i panifici sfornano sino all’alba. Questo divertente caos si protrae sino a quando, spente le luci notturne, e ristorati da un buon caffè, i venditori si dichiarano pronti ad un nuovo attacco, portato a segno dalle più pigre fra le massaie. Nella stessa notte era tradizione, ancora oggi in uso in paesi della provincia, che, fra le stradine della città vecchia, i fornai girassero gridando” Chi vòle trèmbà che trèmbe”, cioè chi vuole impastare che impasti. Serviva a ricordare che bisognava affrettarsi, poiché un solo giorno mancava all’inizio delle festività.

Nei paesi della provincia, associazioni religiose ricevevano anche il compito di distribuire gratuitamente un certo quantitativo di farina alle famiglie più bisognose, perché potessero impastare non tanto il pane, quanto i dolci e, in particolare, le cartellate, immancabili a Natale. L’origine di questo dolce è molto antica. Una sua raffigurazione si può vedere, infatti, in una pittura rupestre del VI sec. a.c., trovata in una grotta di una zona archeologica a circa 20 km  da Bari: una ragazza offre ad una dea fiori di pasta impregnati di sciroppo. Con il Cristianesimo, poi, l’omaggio alla dea fu sostituito da quello alla Madonna, ma il fiore di pasta è rimasto lo stesso. Vassoi pieni di dolci, calzoncelli, sassanelli, latte di mandorla, pagnottelle, torrone, quello che è di origine araba, giunto in Italia al tempo delle Crociate, fichi secchi mandorlati e con il cioccolato, pronti già da giorni in ogni casa di Bari, insomma, chi più ne ha più ne metta... La cena della Vigilia vede re della tavola il pesce, crudo e cotto, e, in particolare, il capitone. In genere la cena della Vigilia di Natale ripropone quella della vigilia dell’Immacolata o quella di Santa Lucia, quando, nelle case pugliesi, per tradizione, si allestiscono l’albero, un tempo decorato solo con arance e mandarini e il presepe. Il giorno di Natale non possono mancare le lasagne al forno; il baccalà in umido con i  lambascioni (cipolline dal gusto amarognolo che si trovano sottoterra, allo stato selvatico), la focaccia pugliese, l'agnello e la  salsiccia alla griglia con le cime di rapa.

Non solo delizie per il palato...la tradizione dei presepi di cartapesta

La tradizione natalizia pugliese, oltre che al cibo,  è  legata anche ai presepi. La diffusione a livello popolare del presepe si realizza pienamente nel '800, quando ogni famiglia in occasione del Natale costruiva un presepe in casa riproducendo la Natività secondo i canoni tradizionali con materiali - statuine in gesso o terracotta, carta pesta e altro forniti dagli artigiani. In questo secolo, si caratterizza l’arte presepiale della Puglia, specialmente a Lecce, per l’uso innovativo della cartapesta, policroma o trattata a fuoco, drappeggiata su uno scheletro di fil di ferro e stoppa.  Negli ultimi anni, la Puglia non è stata risparmiata dalla “commercializzazione” del Natale. Non più solo meta  del divertimento estivo, la regione è  diventata un’insospettabile meta, lunga una regione, per passare le festività natalizie con un ricco calendario di eventi che promettono di accontentare non solo i fedeli devoti alle celebrazioni liturgiche del Natale, ma anche le migliaia di persone che danno a questa festività un carattere più profano. Ci sarà quindi spazio per i cultori dei coloratissimi mercatini, per i golosi alla ricerca di sagre e leccornie da gustare, per gli estimatori dei presepi viventi.

di Antonella Imbesi

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