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Comunicazione e ristorazione. Si deve diventare amici

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Il Congresso dell’Unione Italiana Ristoratori è stato l’occasione per ragionare sull’efficacia della comunicazione in questo ambito. Si parte dai ristoratori che dovrebbero dedicare un po’ di tempo a questa attività e si arriva a riflettere su come, invece i comunicatori dovrebbero raccontare il mondo dei cuochi

Come comunicare? Questo è stato l’argomento chiave dell’ultimo Congresso nazionale dell’Unione Italiana Ristoratori che si è svolto a Riccione il 15 giugno al termine della manifestazione dedicata allo street food, Riccione Golosa. La Uir è nata 42 anni fa con l’obiettivo di promuovere la ristorazione di qualità che offre un servizio impeccabile, abbina correttamente cibo e vino e usa prodotti regionali, e oggi conta 180 soci.
 
Durante il Congresso i cuochi si sono ritrovati a discutere sul tema della comunicazione, elemento chiave in ogni impresa, anche legata alla somministrazione di cibo e bevande, come nel caso di un ristorante. Il cliente di un ristorante, infatti, quasi sempre, prima di scegliere dove andare a pranzo o a cena, cerca su internet informazioni, pareri, commenti di esperienze di altri. Qual dovrebbe essere, dunque, l’atteggiamento “mediatico” del ristoratore? «Oggi è più che mai necessario dedicare almeno un’ora alla settimana del vostro tempo alla comunicazione», ha sottolineato Savino Vurchio, direttore della Uir. «fate il punto della situazione, provate a sintetizzare quali potrebbero essere le cose più importanti da valorizzare, le iniziative che avete in programma, anche le piccole novità e raccontatele attraverso gli strumenti che vi sono più affini». Alessandra Locatelli, cofondatrice di Aleò, una società di consulenza e servizi per le imprese, ha precisato quali dovrebbero essere le regole per un’efficace comunicazione in ambito gastronomico: «Semplicità, efficacia ed educazione. Questi sono i diktat per una sana comunicazione», ha detto.
 
Certo, così dovrebbero fare gli chef. Ma la comunicazione on line non segue sempre questi criteri, anzi. È stato Tano Simonato del ristorante milanese Tano passami l’olio a evidenziare, ad esempio, la criticità di alcuni contenuti di Tripadvisor non proprio edificanti rispetto alla sua attività. In questi casi come ci si deve difendere? Giudizi troppo positivi e giudizi troppo negativi sono sempre da non considerare. Contano quelli che stanno nella media. Ma, in generale, il ristoratore dovrebbe sempre replicare al commento del cliente e dimostrare la sua tangibilità, il suo essere attento e, in casi di giudizi fuori luogo, controbattere in maniera educata.
 
E la critica? Le guide? Che ruolo hanno oggi, quanta influenza? Gli chef si sono fatti anche questa domanda. Certamente meno di un tempo, ma il peso del giudizio di un critico è ancora importante per il cliente, più che per il ristoratore in sé. «Noi percorriamo la nostra strada, a prescindere. Certo è che il giudizio non è universale, ma dà l’idea della qualità o meno di un locale», ha ribadito Igles Corelli, presidente della Uir. A noi però viene da fare anche un’altra considerazione. I ristoratori, certo, devono imparare a usare la comunicazione a loro vantaggio e in aiuto del cliente. Ma un ristoratore è un ristoratore e come tale non deve necessariamente saper fare anche il comunicatore. Allora forse sarebbe necessario ribaltare il punto di partenza di questa analisi e chiederci come dovrebbe cambiare la comunicazione legata alla ristorazione. Cioè, come, chi fa il nostro mestiere, dovrebbe raccontare il settore. Attraverso punteggi? Attraverso giudizi? Facendo diventare il cuoco una specie di divo? Forse è arrivato il tempo di correggere la rotta e cercare di accendere i riflettori sull’uomo, punto di partenza di ogni ragionamento. Se provassimo a raccontare chi sta dietro un piatto, a tracciare un ritratto di un uomo o di una donna, a percorrerne i passi forse spiegheremmo al lettore molto di più e gli offriremmo l’occasione per capire meglio un mestiere. Certa è però un’altra cosa: il mondo della ristorazione deve imparare a fare squadra, a lavorare insieme nella consapevolezza che solo questa può essere la strada efficace, che l’erba del vicino, insomma, non è necessariamente più verde, ma il suo orticello, può essere utile al nostro.
 
di Elena Caccia

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