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Salse e condimenti, come e quando usarli secondo l'etichetta

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Dalla soia alla maionese, le salse e i condimenti secondo il galateo e le regole della cucina.



Immergere ogni singolo pezzo di sushi nella salsa di soia è considerato un gesto scortese, nell’etichetta della cucina giapponese. Potrebbe sembrare che cerchiate di coprire un saporaccio, un po’ come si faceva un tempo con i semi di finocchietto sparsi qua e là dentro a salami e salsicce. Persino la carne rancida sembra buona e fresca quando è reimpastata a regola d’arte.


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Così, nella nostra cultura, le salse e gli intingoli vengono riservati a determinati piatti tipici (il bollito, il fritto misto, il vitello tonnato…) ed è considerato poco elegante farne un uso smodato a tavola. Non sei un intenditore, se continui a pucciare quel pesce bollito nella maionese fresca, perché ti priverai del sapore delle bianche carni morbide e pregiate di un pesce per prediligere una salsa a base di uova e olio. Che poi, la maionese è senz’altro una regina rispetto al paggetto ketchup, alla dama di compagnia salsa barbecue e al consigliere di corte bagnetto verde. In ogni caso, che sia per educazione o per sfoggio, non si copre il sapore di un alimento con troppa salsa.


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È questa anche la regola basilare per un corretto utilizzo del peperoncino. Una nota piccante che deve arrivare alla fine del boccone, quando il cibo ha già viaggiato dalla forchetta, alla bocca, passando sulla lingua e distribuendo sapori, stimoli, piaceri, amari, dolci e salati. Il peperoncino deve essere uno scherzetto finale che ci fa trasalire ma sorridere, come un amante che ci dà un pizzicotto all’improvviso.


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Il sapore di un piatto, insomma, deve sempre rimanere al centro di tutto e la base di partenza è ovviamente data dai singoli sapori degli ingredienti che lo compongono, la cui mescolanza produce ancora nuovi sapori e così via dicendo. Se la si vede a questo modo, si capisce che la salsa è solo uno degli ingredienti che si trovano dentro al piatto e, non per formalità, ma per buon senso, non può trovarsi a contaminare il sapore di ogni singola cosa si trovi nel suo stesso piatto. La salsa non è contagio, ma contaminazione.

E il sale? Si dice sempre che una cosa salata è saporita, che il sale aggiunge sapidità a un piatto. Nelle giuste (e minime) quantità, è così; ma bisognerebbe avere sempre chiaro fino a che punto ha senso aggiungerne. Il sale aggiusta, nelle ricette si usa spesso questo verbo. Il sale aggiusta il sapore e nella cucina moderna è ingrediente di cui si può fare a meno in molti dei casi in cui lo si riteneva un tempo indispensabile, come con le verdure.


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Al contrario, la cipolla, l’aglio, l’olio e il pepe, spesso declassati a condimento o semplici ingredienti da soffritto, sono ormai considerati ingredienti come tutti gli altri e protagonisti quanto i loro compagni di ricetta.

Esiste una salsa, però, che non soffre pregiudizi. Non è considerata dozzinale, né copre i sapori che accompagna (sempre che non se ne metta davvero troppa) e si abbina a una quantità considerevole di ingredienti. È la salsa di senape, che si prepara con i semi dell’omonima pianta.



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